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Venerdì, 11 Aprile 2014 08:48

Il made in Italy guarda al mondo islamico

 

Un mercato potenziale da 5 miliardi di euro l’anno, in continuo sviluppo: potrebbe essere questo il prossimo sbocco dei prodotti cento per cento italiani purché in linea con i precetti della Sharia. Si tratta del Made in Italy Halal, una combinazione a prima vista un po' anomala che, superato lo spaesamento iniziale, può riservare non poche sorprese alle aziende nostrane.

Partiamo dall'inizio: Halal in lingua araba è “ciò che è permesso”, “lecito”, in contrapposizione con ciò che è Haram, cioè vietato dalla legge islamica. “Per noi musulmani – come spiega a Stellanova Sharif Lorenzini, presidente di Halal Italy Authority, organismo italiano riconosciuto per la certificazione di qualità dei prodotti secondo gli standard islamici – Dio ha già realizzato il mondo in maniera Halal; tutto ciò che abbiamo attorno è Halal. Tutto ciò che danneggia la salute dell'uomo, l'ambiente circostante e le altre creature, è invece inammissibile, cioè Haram”. È illecito quindi ciò che l'uomo ha contaminato con le sue stesse mani, “quella contaminazione che in qualche maniera l'industrializzazione globalizzata porta con sé”. Non solo il divieto di assunzione di alcool o di mangiare il maiale e l'obbligo di seguire determinate procedure di macellazione della carne, dunque. L' halal tocca quasi tutti i settori della produzione: in primis l'agro-alimentare, poi l'industria farmaceutica e quella della cosmesi, ma anche il turismo. Si va dalla coltivazione senza sostanze dannose per la salute alla caseificazione con caglio vegetale, alla preparazione di prodotti farmaceutici e di benessere per il corpo la cui catena di produzione non sia contaminata da materiali non consentiti, come quelli derivati dalla carne di maiale, da animali macellati in modo improprio o morti prima della macellazione, contenenti alcol (come dopobarba, profumi e deodoranti) o sostanze inebrianti, ma riguarda anche la possibilità di trovare negli alberghi l'indicazione della direzione per la preghiera (verso la Mecca), spazi riservati a uomini e donne nelle Spa oltre che menu ad hoc. Stesso discorso anche per i pasti sugli aerei o sui treni. La certificazione, sottolinea Lorenzini, italo-iracheno, garantisce “che non avvenga contaminazione nella filiera e che la tracciabilità del prodotto sia chiara”, a conferma del percorso di liceità. Considerando che la tradizione Halal trova le sue origini nei precetti del Corano, questo particolare sistema di produzione potrebbe essere letto come un ritorno al passato, e la certificazione un modo per “stabilire all'ordine naturale delle cose”. Senza alcun costo aggiuntivo per le aziende italiane perché, sottolinea ancora il presidente dell'HIA, “il sistema produttivo italiano, basato su piccole e medie imprese che portano avanti procedimenti quasi artigianali, con molta attenzione per la tutela dei consumatori, è già vicino naturalmente agli standard Halal”. Più che in altri Paesi. La qualità piuttosto elevata rappresentata dai marchi italiani li rende così particolarmente competitivi in un settore che, grazie anche alla crescita demografica della popolazione musulmana, non ha risentito della crisi globale, mostrando un incremento annuo anche del 15%. Si tratta di un mercato che conta una popolazione di quasi 2 miliardi di persone, tutti potenziali consumatori. Lo scorso marzo, dal 27 al 29, si sono radunati a Roma i rappresentanti di 57 Paesi islamici, membri dell'Organization for Islamic Cooperation per partecipare per al World Halal Food Council e hanno annunciato il protocollo d'intesa con l’Agenzia governativa per lo sviluppo dell’industria e del commercio Halal globale della Malesia per la nascita di un Halal Hub che partirà proprio dal Mediterraneo e dall'Italia. Un investimento finanziato da sauditi. Stando ad Halal Italy Authority, attualmente sono 270 le aziende italiane che hanno aderito alle linee guida necessarie per la certificazione Halal, per un totale di 3000 prodotti, aprendosi al fiorente mercato del Sud-Est asiatico, della Malesia, dell'Indonesia e dell'Arabia Saudita. Il problema da risolvere, conclude Lorenzini, “non è dunque quello della mancanza di domanda quanto quella della difficoltà di far fronte a richieste di commesse massicce. Che l'azienda piccola o media non è in grado di soddisfare”. È necessario, quindi, “creare un paniere molto ampio di prodotti certificati per rispondere a esigenze varie ed eterogenee perché il mondo islamico è geograficamente molto ampio e racchiude culture e gusti diversi. È importante poi fare rete, creare un consorzio di aziende certificate, in modo di poter fare offerte di grande quantità. Per questo lanceremo a breve l'associazione di categoria che unirà le aziende certificate che vorranno andare all'estero o servire il mercato interno che è ugualmente importante”.