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Lunedì, 17 Febbraio 2014 09:15

Forse è tempo di banche islamiche?

Mentre le aziende di credito e le istituzioni finanziarie occidentali attraversano una fase di pesante ristrutturazione e si interrogano sul futuro, le banche islamiche crescono con tassi di sviluppo interessanti. 

La gravità della crisi finanziaria ed economica mondiale, l’incertezza sulle prospettive, la necessità di modificare i modelli di business e una diversità così marcata nelle condizioni operative rendono urgente la necessità di confrontarsi con un modello di banca per certi versi eticamente orientata.

Il mondo islamico, dal punto di vista finanziario, può infatti rappresentare una grande opportunità di business. I volumi d’affari in gioco sono notevoli e in costante sviluppo. Le stime disponibili, approssimate per difetto, parlano di risorse pari a circa 750 miliardi di dollari, in crescita del 10-15% ogni anno. Se questo ritmo non cesserà nei prossimi anni, si prevede che alla fine del 2015 gli attivi conformi alle regole della Shariah ammonteranno a una cifra compresa tra i 1.800 e i 2.800 miliardi di dollari.

La banca islamica si regge su modelli contrattuali particolari e complessi, che richiedono un sistema normativo e fiscale adeguato. Inoltre, i bilanci delle banche islamiche devono recepire standard e linguaggi in grado di essere compresi e valutati dalla comunità finanziaria internazionale. Nella corporate governance della banca islamica ad esempio, è prevista la presenza di uno Shariah board, che si affianca all’assemblea degli azionisti e al board degli amministratori e vigila sulla gestione. Questo organismo è composto da esperti della legge islamica e ha il compito di verificare che l’attività dell’istituto si svolga nel rispetto dei principi dell’Islam. Ogni nuovo prodotto o servizio, prima di essere effettivamente realizzato, deve essere sottoposto alla sua valutazione. I pareri dello Shariah board vengono diramati sotto forma di Fatwa. Non sono solo consultivi, ma influenzano la gestione della banca. Alcuni osservatori hanno paragonato lo Shariah board ai comitati etici che da qualche anno sono stati introdotti nelle banche occidentali. Questi hanno il compito di vigilare sul rispetto di tutti gli stakeholder e sull’insorgere di potenziali conflitti di interesse. Viene però da osservare che rispetto a un comitato etico lo Shariah board svolge un compito più incisivo ed è dotato di poteri più ampi e vincolanti.

Nel tempo sono stati sperimentati modelli di business per importare la banca islamica al di fuori dei mercati domestici come l’esperimento delle islamic windows adottate da alcuni gruppi bancari per andare incontro alla popolazione di fede musulmana ben presente in Europa. La Gran Bretagna e la Svizzera per esempio possono vantare un vantaggio di prima mossa rispetto ad altre piazze finanziarie confinanti, tra queste spicca la poca energia manifestata negli anni dall’Italia nonostante la nutrita presenza di praticanti musulmani e una posizione geografica a cavallo tra l’Europa e il Mediterraneo. Il sistema bancario italiano è sotto stress per le condizioni esogene e endogene che tutti abbiamo imparato a conoscere dalle cronache finanziarie che ormai siamo abituati a sentire ripetere da anni e in questo quadro può trovare spazio l’idea di mettere in pista il modello alternativo che sta alla

base della concezione islamica di istituto finanziario. Il divieto di riba, che proibisce la pratica di riconoscere interessi a priori sul denaro, mal si sposa con la prassi bancaria occidentale che è fondata sul riconoscimento di interessi alla clientela. Nel contesto odierno, molti correntisti, soprattutto quelli che non godono di masse importanti e che quindi hanno un potere contrattuale limitato nei confronti dell’istituto finanziario, devono far fronte a remunerazioni da interessi ridicole se non negative in alcuni casi. In questo scenario, può tornare utile l’esperienza delle banche islamiche che non riconoscono interessi, ma possono garantire al correntista una serie di benefici e convenzioni. Molti istituti finanziari islamici hanno iniziato a concedere agevolazioni/convenzioni particolari ai propri clienti e sembra essere una formula vincente. I clienti non ricevono poche decine di euro semestralmente, ma buoni carburante, abbonamenti a palestre, buoni sconto, ecc. Altro pilastro della finanza islamica è il concetto del profit and loss sharing, la condivisione di utili e perdite dell’investimento, completamente controcorrente con la politica degli istituti di credito tradizionali che prestano alle attività commerciali solo se in presenza di beni da ipotecare. Anche in questo caso, il concetto che sulla carta può essere ben assimilabile agli istituti piccoli che conoscono bene il territorio, può essere replicato anche su scala nazionale se si riescono a coinvolgere consorzi e associazioni di categoria in grado di garantire per l’istituto il merito creditizio e professionale dell’associato in un contesto italiano caratterizzato per la quasi totalità da piccole e medie imprese. La banca diventa così a tutti gli effetti parte sociale, non solo per le caratteristiche intrinseche di funzionamento, ma perché può costituire motore propulsivo e di moral suasion per una maggiore eticità dei prodotti e del sistema all’interno del quale agisce. L’istituto infatti può direttamente erogare direttamente microcredito come voluto fortemente dall’Islam, diventare centro di raccolta e riscossione della zakat, la tassa spirituale islamica che i praticanti musulmani possono cosi assolvere anche lontano dai luoghi di nascita e diventare hub per il collocamento di fondi in linea con gli screening voluti dalla legge santa islamica. L’Italia è inoltre in continuo fermento su due temi che possono trovare campo di applicazione per due prodotti finanziari islamici specifici: il sukuk e il takaful. Nel primo caso, si tratta di un prodotto simile alle comuni obbligazioni solo che, a differenza delle comuni obbligazioni, non riconoscono cedole, ma ricavi derivanti dall’utilizzo del bene reale oggetto del finanziamento. Per fare un esempio pratico, un sukuk può essere strutturato per la costruzione di edifici da concedere in locazione o per la realizzazione di opere pubbliche soggette a futuro pedaggio garantendo un cash flow costante. La natura del prodotto vuole che lo stesso sia legato a un sottostante reale e non costruito avvalendosi sull’ingegnerizzazione finanziaria che ha dominato gli ultimi decenni della finanza internazionale. Capitolo a parte merita il takaful, la mutua assicurazione in linea coi precetti islamici, che prevede la ripartizione equa del rischio associato ai soggetti coinvolti e che può trovare terreno fertile in un paese, quello italiano, con tariffe più onerose di altri paesi e un tessuto che ne ha minato da sempre la correttezza e l’equità sociale. Se gli organismi legislativi e di sorveglianza troveranno le intese, i tempi sembrano maturi per sperimentare la nascita di istituti finanziari che possono svolgere un ruolo importante per l’integrazione di minoranze che, per via dei flussi migratori e di paesi con rilevanti tassi di crescita demografica, saranno sempre più presenti nei nostri paesi e chiederanno di essere ascoltate e valorizzate.

Santovito Luigi